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Galette bretonne

21 dicembre 2015

La parola “galette” in Francia indica generalmente un dolce piatto cotto senza stampo. Il più famoso è certamente la galette des rois, la galette dei re (magi), fatta di pasta sfoglia e ripiena di crema frangipane, servita tradizionalmente il giorno dell’epifania. La galette bretone, invece, è una sorta di crêpe di grano saraceno (o crespella, volendo parlare italiano), tipica della Bretagna, che si serve con ripieni salati. È chiamata anche galette de blé noir o de sarrasin, due nomi francesi del grano saraceno, o kaletez in bretone.

La versione che propongo qui è quella del nord della regione, dove si prepara senza uova, con sola farina di grano saraceno, acqua e sale. È ancora più semplice da fare di una crêpe comune.

Galette saucisse

Per una sola galette piccola di 20 cm di diametro vi occorreranno circa 35 grammi di farina di grano saraceno e un pizzico di sale; per una grande, di 30 cm, vi serviranno 80 grammi scarsi di farina e due pizzichi di sale.

Mescolate con una frusta la farina e il sale con dell’acqua, aggiungendone poca alla volta, fino ad ottenere una pastella molto soda, un po’ come una crema spalmabile. Versate poi un velo d’acqua sopra alla pastella in modo da ricoprirla appena appena, quindi mettete al fresco a riposare per circa un’ora, in modo che la farina abbia modo di idratarsi del tutto. Trascorso questo tempo, incorporate l’acqua superficiale che non fosse stata assorbita e aggiungetene altra, un po’ alla volta, fino ad ottenere un composto molto fluido, come quello per le crêpe, che non scrive più, ossia abbastanza acquoso che la pastella che gocciola dalla frusta non lascia una traccia persistente nella pastella che rimane nel recipiente. Ve ne occorreranno circa 30–40 mL, la densità appropriata è più o meno quella di un frullato o dell’uovo sbattuto.

Fate scaldare una larga padella antiaderente fino a renderla bollente. Ungetela leggermente con un pezzo di carta da cucina imbevuto di olio e versate al centro un mestolino di pastella. Ruotate la padella in modo da distribuirla uniformemente in uno strato sottile come una crêpe e fate cuocere a fuoco alto fino a che non cambia colore e i bordi accennano a staccarsi, dopo qualche decina di secondi. Staccate la pastella, rovesciatela e fate cuocere brevemente anche sull’altro lato.

Se non riusciste a spargere la pastella ruotando la padella, significa che è troppo densa e dovete aggiungere altra acqua. Se si secca e si crepa prima di essere cotta, significa che la padella non è ancora abbastanza calda. Se la rompete girandola, probabilmente è troppo acquosa o non ancora cotta abbastanza. Una galette ben riuscita è tenera, umida ed elastica esattamente come una crêpe.

Se ne voleste fare più d’una, ungete di nuovo la padella tra una galette e la successiva; conservatele una sopra l’altra fino al momento di farcirle. Volendo, si possono anche congelare.

Come farcitura, due sono le versioni più tradizionali: la galette complète e la galette saucisse. La seconda è la più semplice: la galette fredda viene semplicemente avvolta attorno ad un tipo di salsiccia di maiale sottile e molto pepata caratteristica della Bretagna, cotta alla brace. La galette complète, che potete vedere nella seconda foto, si prepara invece così: si riscalda a fuoco medio la crespella su una padella leggermente unta di burro e si sparge del formaggio tritato (tipo emmental o simili) in un cerchio a metà strada tra il centro e il bordo, in uno strato abbastanza sottile e uniforme. Si rompe un uovo al centro senza bucare il tuorlo e si sparge l’albume fin sopra al formaggio. Separando il tuorlo e battendo leggermente l’albume prima di versarlo sulla galette sarebbe più semplice distribuirlo uniformemente, ma valutate voi se ne vale la pena. Quando l’albume è cotto, si aggiungono dei pezzi di prosciutto affettato sopra all’albume, senza coprire il tuorlo, e si piegano i lati della crespella verso il centro in modo da dargli una forma quadrata, con una specie di foro al centro per il tuorlo, che dovrebbe rimanere quasi crudo. I bordi diventano leggermente croccanti. Si può comunque farcire in mille altri modi, ça va sans dire!


Il grano saraceno (Fagopyrum esculentum) non ha nulla a che vedere con il grano comune e, in effetti, non è nemmeno un cereale, ma un lontano parente dell’acetosa e del rabarbaro. Come tutte le piante di questa famiglia (le Poligonacee), fa dei semi a sezione triangolare, molto ricchi di amidi e di proteine: quasi il 20%, contro circa il 12% del grano propriamente detto. A differenza delle proteine del grano, però, quelle del grano saraceno non formano una maglia compatta con la manipolazione, ma una specie di gel vischioso, cosicché questa farina è adatta ai celiaci, ma non ai panettieri. Il grano saraceno spesso viene macinato senza rimuovere il guscio esterno scuro (che tecnicamente sarebbe il frutto), il che dà alla farina un colore grigio punteggiato di nero. Si coltiva un po’ in tutto il mondo ed è particolarmente importante nella cucina dell’estremo oriente, dove si usa per preparare gli spaghetti che in Giappone si chiamano soba (mentre quelli di grano sono udon o ramen). Il fiore non è impollinato dal vento, come quello dei cereali, ma dalle api, che ne ricavano un miele scuro pregiato. Il grano saraceno cresce e matura in solo un paio di mesi, richiede climi freddi un terreno roccioso e povero di azoto, al punto che se viene fertilizzato la produttività generalmente diminuisce. Per questa ragione, il suo uso è tradizionale in molti territori con suoli magri, come appunto la Bretagna o la Valtellina, dove lo si usa per preparare i celebri pizzoccheri. Poco si sa dell’origine del nome italiano.

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