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Gulab jamun

8 aprile 2012

Domani è pasquetta e, come vuole la tradizione, uscirò per un picnic con degli amici. Mi hanno chiesto di preparare il dolce e ho pensato di portare un vaso di gulab jamun, un dessert particolare tipico dell’area indiana che molti frequentatori di casa mia hanno avuto modo di apprezzare. Si tratta di una sorta di babà a base di latte che si inzuppa non nel liquore, ma in uno sciroppo dolce e si serve tipicamente spolverato di pistacchi tritati. I gulab jamun si trovano spesso nei menu dei ristoranti indiani, ma devo dire che con questa ricetta il risultato è assai migliore di tutti quelli che ho avuto modo di assaggiare. La preparazione è abbastanza facile e tutti gli ingredienti sono reperibili comunemente nei negozi specializzati in cibi esteri.

Per lo sciroppo:

  • Acqua: 400 mL
  • Zucchero: 300 grammi
  • Acqua di rose: un cucchiaio abbondante
  • Cardamomo: due capsule o tre (da alcuni dette “bacche”)

Per la pasta:

  • Latte in polvere: 100 grammi
  • Farina di grano tipo 00: 25 grammi
  • Burro fuso: tre cucchiai
  • Bicarbonato di sodio: la punta di un cucchiaino
  • Latte: quanto basta (poco)

Inoltre:

  • Ghi o burro chiarificato o olio di semi, per friggere
  • Pistacchi non salati tritati

Per prima cosa va preparato lo sciroppo. Mettete sul fuoco l’acqua con lo zucchero e le capsule di cardamomo aperte in modo da liberare i semi, portate a bollore e lasciate sobbolire per una decina di minuti. Versate poi lo sciroppo in un recipiente ampio e profondo almeno cinque centimetri, filtrandolo con un colino per eliminare il cardamomo. Quando sarà un po’ intiepidito, aggiungete l’acqua di rose. Badate che oltre alla vera acqua di rose, che è il prodotto di scarto della distillazione della rosa per la produzione di profumi, si vendono anche acque aromatizzate alla rosa che hanno un profumo uguale ma molto più intenso, nel qual caso la dose va opportunamente diminuita.

Per preparare la pasta occorre innanzi tutto mescolare il latte in polvere, la farina e il bicarbonato. Unite quindi il burro fuso e mescolate ancora. Aggiungete poi un pochino di latte finché non otterrette una pasta lavorabile e leggermente appiccicosa. Fondamentale: lasciate riposare una decina di minuti, al fresco. Dopo il riposo la pasta non sarà più appiccicosa, ma morbida e lavorabile quasi come la plastilina. Se vi riuscisse troppo dura e friabile, aggiungete altro latte, viceversa aggiungete latte in polvere. Non so darvi una quantità di latte precisa da aggiungere, in ogni caso la ricetta è “solida” e non accadranno disastri. Lavorando velocemente e cercando di scaldarlo il meno possibile con le mani, fate con questo impasto bianco una quindicina di palline di un paio di centimetri di diametro.

Friggete le palline nel ghi a temperatura moderata, rigirandole, finché non diventano di colore uniformemente bruno scuro. Se non avete questo ingrediente, otterrette quasi lo stesso risultato usando olio o burro chiarificato, ma non sognatevi di friggere col burro comune! Noterete che tendono ad appiccicarsi alla pentola all’inizio, ma basta smuoverle. Non assorbiranno se non pochissimo unto. La presenza del bicarbonato le farà aumentare notevolmente di volume.

Appena fritte le palline sono morbidissime, ma raffreddando diventano dure. Una volta che sono irrigidite, possono essere tuffate nello sciroppo, sul quale galleggeranno; gettandole mentre sono ancora calde e morbide collassano su sé stesse.

Dopo circa una ventina di minuti le palline avranno assorbito moltissimo sciroppo e saranno ulteriormente aumentate di volume fino a circa quattro centimetri di diametro. A questo punto possono essere servite, ma consiglio di aspettare per qualche ora o almeno finché il liquido non sia del tutto freddo. Ne basteranno due o tre a testa, ciascuna con qualche cucchiaio di sciroppo e spolverizzate di pistacchio tritato. Dovrebbero essere tenerissime e gonfie di liquido, se così non fosse significa che avete messo poco bicarbonato. Possono conservarsi per un paio di giorni, inzuppate nello sciroppo, ma vedrete che andranno a ruba e non avrete questo problema. Qualcuno mi dice che sono sbalorditive con il gelato alla vaniglia, ma anche da sole le troverete deliziose.

La versione più tradizionale fa uso di un derivato del latte detto khoa, che da noi non si trova, ma si può ottenere facendo evaporare lentamente del latte fino ad ottenere una pasta simile alla ricotta soda. Ho provato questo metodo una volta, correggendo leggermente la ricetta, ma l’operazione di evaporazione è lunga e comunque non si hanno risultati migliori che con versione che propongo qui, che viene -con poche correzioni- direttamente da un sito internet indiano.

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