Olio al peperoncino

Bello vero? Viene circa così, ma questo non è il mio olio al peperoncino, ma olio di palma, che ha questo bel colore rosso arancione prima della raffinazione.
La ricetta che si legge di solito per questa comunissima preparazione prevede di mettere semplicemente dei peperoncini in olio extravergine di oliva e aspettare un tempo più o meno lungo, ma trovo che questo metodo abbia alcuni difetti, almeno tre. Il primo è che non funziona bene con i peperoncini freschi, perché il principio piccante di questa spezia, la capsaicina, fatica a passare direttamente dall’acqua contenuta nel peperoncino all’olio. Il secondo difetto, è che il sistema è poco sicuro, perché non è garantito che le spore del botulino, che potrebbero trovarsi sui peperoncini, non possano riattivarsi, rischiando di causare avvelenamenti anche gravi. Il terzo difetto è che il metodo è inaffidabile e lentissimo, al punto che spesso l’olio non ha ancora raggiunto la potenza massima quando inizia ad irrancidire. L’olio extravergine di oliva diventa inutilizzabile in pochi mesi, tenuto in una bottiglia aperta e non scura. Con il sistema che suggerisco qui, un po’ più laborioso ma non particolarmente complicato, tutti questi problemi sono superati.
- Olio di semi (ad esempio di girasole) o di oliva raffinato: 300 mL.
- Peperoncini rossi freschi: 150 grammi
- Sale: due cucchiaini
- Aceto di spirito o altro aceto poco saporito: due cucchiai
Dosi per 300 mL di olio, ma scalabili a piacimento. Secondo me non vale la pena di usare olio extravergine, per molte ragioni. Innanzitutto, la lunga cottura gli farebbe perdere quasi tutto il sapore, che comunque sarebbe sopraffatto da quello dei peperoncini. Inoltre, l’olio risulterebbe di color marroncino, anziché rosso vivo. Infine, essendo poco puro, l’olio extravergine irrancidisce più facilmente di altri e la cottura, l’acido e le impurità non aiutano la conservazione, che usando oli più raffinati è di parecchi mesi.
Tagliate i peperoncini a pezzetti di circa un centimetro e trasferiteli in un pentolino con l’olio e il sale, che serve a velocizzare il processo di disidratazione e non rimarrà nel prodotto finale. Usate anche i semi e le membrane interne, che sono le parti più piccanti. Iniziate a far scaldare a fuoco bassissimo, mescolando, fino a che non inizieranno a comparire delle bollicine di vapore. L’olio avrà raggiunto i 100 °C, temperatura che non potrà superare fino a che i peperoncini non saranno quasi del tutto secchi. Durante il processo, si svilupperanno un delizioso aroma e vapori irritanti per il naso e gli occhi; se usate peperoncini molto forti, fate in modo di prendere le dovute precauzioni. Mantenete il fuoco al minimo e continuate a mescolare. I peperoncini diventeranno dapprima molto teneri, poi via via sempre più asciutti e traslucidi, raggiungendo ad un certo punto un bel colore granata e la consistenza croccante della verdura essiccata, dopo una ventina di minuti almeno. A questo punto, le bollicine cesseranno, la temperatura inizierà a salire molto rapidamente e i peperoncini a farsi velocemente più scuri e tostati. È fondamentale non portare avanti la cottura oltre questo punto, i peperoncini ormai secchi brucerebbero molto rapidamente.
Aggiungete i due cucchiai di aceto, che bolliranno subito quasi completamente, e spegnete il fuoco. Ora viene le parte più noiosa: occorre mescolare e arieggiare bene l’olio fino a che non raggiunge, molto lentamente, la temperatura ambiente e smette completamente o quasi di odorare di aceto. Ci vorranno almeno altri 20 minuti. Questa operazione serve ad eliminare per evaporazione tutto l’aceto disperso nell’olio, lasciando solo quello legato alle microscopiche particelle di peperoncino che potrebbero rimanere nel prodotto finito. La sua funzione principale è quella di impedire la proliferazione del botulino e non dovrebbe rimanerne il sapore.
L’olio risultate avrà uno splendido colore, tutta la piccantezza che volete e anche l’aroma chiaro di peperoncino essiccato. Filtratelo con un panno o un colino sottilissimo e conservatelo in una bottiglia chiusa. Se vi piace veramente tanto il piccante, potete mangiare i peperoncini così seccati come snack, altrimenti scartateli. Saranno comunque meno forti di quanto non credereste. Potete anche tritarli con un paio di forbici e conservarli nell’olio stesso.
Questa preparazione si presta a molte varianti, ad esempio in India si cuoce della cipolla affettata assieme al peperoncino e si aggiunge cumino poco prima che il peperoncino sia secco. In questa variante, è superlativo per condire verdure amare come la cicoria bollita. In Cina si cuoce con pepe di Szechuan, sempre verso la fine del processo e credo che anche aglio (all’inizio) e rosmarino (verso la fine) sarebbero aggiunte molto gradevoli.

Frutti della palma da olio. Sono grandi circa come un dattero, la polpa e il seme (palmisto) danno oli con proprietà differenti.
Approfitto della foto ingannevole per parlare dell’olio di palma, che è fatto oggetto di una campagna di sensibilizzazione (o demonizzazione) in larga parte condivisibile, ma spesso semplicistica e dai toni esagerati. Innanzitutto, va chiarito che non è particolarmente dannoso alla salute, anzi, nella sua forma non raffinata – che da noi non si trova facilmente e che si riconosce per il colore rosso intenso anziché giallino – è un’ottima fonte di antiossidanti e vitamina A ed un alimento tradizionale in larga parte dell’Africa, dove la carenza di quest’ultima è spesso un problema sanitario. A differenza di quasi tutti gli oli vegetali, però, è composto per quasi la metà di grassi saturi, gli stessi che si trovano in burro, strutto, burro di cacao e olio di cocco, tant’è che ai nostri climi si presenta solido e si può spalmare come fosse burro, del quale è un discreto succedaneo dal punto di vista “tecnico” (non certo del gusto, che è piuttosto neutro). Per questa ragione, tra l’altro, è tra i grassi più comunemente usati per produrre sapone, assieme al sego e gli oli di cocco e oliva ed eccellente per friggere ad alte temperature. È comunemente accettato che un uso smodato di questa categoria di grassi favorisce le malattie cardiovascolari, cosicché è bene limitarne il consumo. L’olio di palma va perciò evitato per la stessa ragione e nella stessa misura per cui non è il caso di mangiare tre fette di pandoro al giorno da ottobre ad aprile o un’intera tavoletta di cioccolato per colazione. Se poi il vostro problema fosse la linea, ricordo anche che tutti i grassi, dallo strutto all’olio extravergine all’olio di palma o di semi, hano le stesse identiche calorie per grammo (ma il burro ne ha un po’ meno perché contiene una certa percentuale di acqua).
La seconda preoccupazione riguardo a questo ingrediente è che la diffusione della coltura della palma da olio (Elaeis guineensis) nelle regioni tropicali sta portando alla deforestazione di larghe sezioni di foresta tropicale, specie nel Borneo, riducendo l’estensione e mettendo a repentaglio la salute di ecosistemi particolarmente ricchi. Tuttavia, vale la pena sottolineare che la palma è di gran lunga la pianta che dà più olio per unità di area, oltre il quadruplo della seconda in classifica – la soia–. Di conseguenza, un ettaro di suolo coltivato a palma da olio produce più di quattro ettari coltivati a soia. Vien da sé che la richiesta mondiale di oli alimentari non è destinata a ridursi sensibilmente nel prossimo futuro, e l’unica alternativa sarebbe scegliere specie differenti. Si potrebbe sostenere che un ettaro di foresta tropicale valga più di quattro ettari di prateria temperata e certamente non è qui che si possono fare valutazioni di questo genere, ma è bene che chi si scaglia contro questo specifico prodotto sia consapevole che le alternative possibili non sono necessariamente perfette.
Grazie, prezioso come sempre specie nei consigli “di contorno”!